Il metodo Fenoglio, ovvero la pazienza come valore da riscoprire (ma con cui si rischia): la recensione della serie tv di Rai 1
Alessio Boni, lavorando in sottrazione ed “asciugando” il personaggio, regala al pubblico un uomo di Legge che rispetta i canoni del poliziesco ma va in controtendenza rispetto agli ultimi titoli proposti in tv
C’è il rigore, la passione per il proprio lavoro, l’ossessione per fare sì che la verità torni a galla, nel metodo del maresciallo Pietro Fenoglio. Un personaggio nuovo per la fiction italiana, un po’ meno per chi l’ha scoperto nei libri di Gianrico Carofiglio, ma al tempo stesso un personaggio classico, che non vuole scuotere le fondamenta del genere investigativo. E che, eppure, riesce a dargli una visione differente da quella a cui siamo abituati.
La recensione de Il metodo Fenoglio
Gran parte del merito di questa singolare operazione va ad Alessio Boni, che si conferma essere uno dei professionisti meglio capaci di regalare al piccolo schermo personaggi capaci di essere rassicuranti e spiazzanti al tempo stesso.
Lavorando in sottrazione ed “asciugando” il suo Fenoglio dall’eccessività di altri suoi colleghi televisivi, Boni offre al pubblico un personaggio capace di ispirare fiducia fin dalla prima apparizione sullo schermo. Il maresciallo protagonista della serie tv di Raiuno e RaiPlay è una figura che appartiene alla tradizione di quegli uomini e donne di Legge che fanno del proprio lavoro una missione a tutti i costi, allacciando con il pubblico un tacito accordo: in un modo o nell’altro, il caso a cui stanno lavorando sarà risolto, e noi li seguiamo con questa certezza che ci rassicura e che ci permette di proiettarla sulle reali istituzioni.
D’altro canto, però, Fenoglio è anche nuovo: non ammanetta chi deve arrestare, riconoscendo nei colpevoli quell’umanità che altri non riescono a leggere e facendo della sua empatia un’arma potentissima per le indagini. A proposito di armi, Fenoglio porta la pistola solo perché deve: ai proiettili preferisce l’intuito e l’osservazione, ma soprattutto la pazienza nel capire il mondo che lo circonda.
“La pazienza è la nuova rivoluzione”, dice il protagonista nei primi minuti della serie: una frase che racchiude tutto il senso di un personaggio che va in controtendenza rispetto ai titoli delle ultime stagioni tv. Gli eccessi, in questo caso, vengono messi da parte, facendo de Il metodo Fenoglio un’opera più riflessiva e rivolta, appunto, a chi fa della pazienza un abile strumento a proprio vantaggio e non un ostacolo.
Le indagini che si sviluppano nel corso della serie risentono inevitabilmente di questa filosofia (altrimenti non avrebbe avuto senso dedicare a questo metodo investigativo il titolo stesso della fiction): l’effetto è insolito, per chi ormai è abituato a personaggi altrettanto integerrimi ma capaci di fare un rumore maggiore.
Carofiglio ci ha regalato, insomma, un altro modo di pensare il crime in televisione, partendo da un personaggio perfetto per la letteratura ma che per il piccolo schermo rappresenta un azzardo. Non solo Fenoglio deve avere pazienza, ma anche il pubblico, per lasciarsi trasportare con il tempo necessario nel suo mondo e in quella Bari martoriata dei primi anni Novanta.
Proprio l’aggancio con la Storia del nostro Paese diventa la chiave per trattenere quel pubblico: Il metodo Fenoglio non impartisce lezioni, ma ricorda. Episodi che hanno fatto la cronaca delle prime pagine dei quotidiani di allora e che sono finiti sui libri di Storia, che in questo caso diventano contesto narrativo che esaltano ancora di più la necessità di comprensione, quella che Fenoglio va cercando ossessivamente.
L’incastro tra realtà e finzione regge, e Il metodo Fenoglio s’inserisce tra i crime di ultima generazione senza voler strafare. Sfuggendo da meme e gif pronte all’uso, ma costruendo una storia in cui viene data alla pazienza il giusto valore.